• giovedì , 21 Novembre 2024

Proibire l’analisi dei dati è illiberale

di Franco Debenedetti

Proibire raccolta e analisi dei dati è come un attacco alla libertà individuale

La prima volta, nel 1994 con i Progressisti, le elezioni nel Collegio Torino Centro le vinsi con i tradizionali manifesti. Nel1996 con l’Ulivo avevo un avversario temibile: ricordatomi della regola nr. 1 del candidato, mai parlare ai convinti, elaborai una strategia che, non disponendo di un Bannon, mi parve raffinata. Ed ebbi il premio.

Dove stavano i candidati più propensi ad ascoltare i propositi di un “padrone” candidato nel centrosinistra? Pensai di poterlo dedurre dall’analisi, seggio per seggio, dei voti nelle ultime elezioni. Dall’insieme trassi una mappa dei Cap “interessanti” del mio collegio: lì avrei fatto la mia campagna. Scelsi luoghi in cui presentare le mie “lezioni” – su lavoro, fisco, istruzione, sanità , ecc –. Comperai da Seat l’elenco degli abbonati telefonici divisi per Cap. Organizzai una squadra di ragazzi e ragazze che chiamassero le utenze dei Cap selezionati per informare che Franco Debenedetti, candidato ecc, avrebbe avuto piacere di incontrare il giorno ecc.

Quando ho letto come i dati elaborati da Cambridge Analytica fossero stati usati per inviare messaggi politici agli utenti di Facebook, questa vicenda mi è tornata in mente. Siamo passati dal mondo dagli indirizzi stradali a quello degli account digitali, dal telefono fisso allo smartphone, da Seat a Facebook, dai voti ai like (e fortuna che votiamo con carta e matita e non con computer e click!). Qual è la differenza tra le operazioni che facevo io e quel che fanno loro?

Certo, la rozzezza con cui io deducevo dai voti passati dove potessero stare gli elettori “di confine” è mille miglia distante dalla raffinatezza con cui si trovano correlazioni tra milioni di dati: ma sempre di metodi statistici applicati a dati pregressi si tratta. A fronte dell’efficienza nel recapitare il messaggio al (supposto) interessato, le mie telefonate avevano quella della ricerca del proverbiale ago. Lo stesso per la differenza di efficacia tra il contenuto della mia lezione e il messaggio sottilmente personalizzato dalla psicometria. Ma qual è la differenza logica? Anche con i messaggi tv, la differenza è di rapporto tra i mezzi e risultati: inutili per i convinti, sprecati i contrari, gli unici utili sono quelli raccolti dagli “swinging voters”.

I 50 milioni i profili comperati da Ca fanno impressione: ma se il fatto è illecito, non è la dimensione a renderlo tale. Non ho ritenuto di violare privacy quando, dall’analisi dei voti del seggio, deducevo la probabilità statistica che l’elettore che lì aveva votato fosse ricettivo al mio messaggio. Certo, la privacy comprende il diritto di non ricevere un messaggio, e tra chi lo riceve sul suo profilo Facebook ci sarà chi non gradisce: ma succedeva pure per chi sentiva squillare il telefono. La sola differenza è che conoscevano il mittente, i ragazzi lo dicevano loud and clear.

Bisogna intendersi: i dati grezzi di per sé non dicono nulla, non servono, non valgono. Devono essere aggregati e analizzati, la profilatura è una di queste operazioni, non distinguibile di per sé dalle altre. Non si vede cosa ci sia di illecito nel profilare in base alle propensioni politiche: è quel che fanno le società di ricerche di mercato. Facebook ha il diritto, forse il dovere, di mettere alcuni vincoli all’uso che il compratore può fare dei dati: ma darle il dovere di selezionare i clienti per motivi non prima facie evidenti, anziché rassicurare evoca incubi orwelliani. Veniamo alla seconda fase: l’invio di messaggi specifici a selezionati utenti Facebook. Se una società manda messaggi nascondendo la propria identità, peggio usando identità altrui, mi sembra faccia hackeraggio a danni di Facebook. Le si può far carico di non avere vigilato, ma non di non avere eliminato un messaggio contenente notizie o dati falsi: la maggior parte dei messaggi elettorali sono fake per metà della popolazione, credibili news per l’altra.

Viviamo nell’economia dei dati, proibire di raccoglierli e analizzarli sarebbe un attacco suicida alla libertà individuale e di impresa, e obbligare il web a fare solo da post office globale, una rovinosa sciocchezza. Gli apocalittici che accusano i Big data di distruggere la libertà degli individui, sembra abbiano di quella libertà una ben bassa opinione. Chi ci ha provato, sa quanto sia difficile far cambiare opinione con gli ordinari strumenti della logica e della retorica. E quanto ai più sottili strumenti che vanno a toccare le corde profonde della psiche, accanto a coloro che li risentono come una sorta di violenza intellettuale, ci sono coloro quelli che, svelate le ignote radici delle proprie propensioni, si sentono più sicuri e realizzati.

Fonte: IL SOLE 24 ORE, 24 marzo 2018

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