di Franco Debenedetti
Nei riguardi del divieto europeo agli aiuti di Stato noi italiani abbiamo una sorta di debito di riconoscenza. E’ stato infatti grazie all’obbligo di ottemperarvi che abbiamo smontato l’IRI e fatto le grandi privatizzazioni degli anni ‘90. Non possiamo quindi essere sospettati di pregiudizio negativo se il proposito di Margrethe Vestager, commissario europeo alla concorrenza, di considerare come aiuti di Stato gli accordi fiscali di Fiat Chrysler con il Lussemburgo e di Starbucks con i Paesi Bassi, ci ha suscitato qualche sorpresa e molti dubbi.
La Vestager (si veda Il Sole 24 Ore del 24 Ottobre) “ingiunge alle due società di restituire” danaro a Lussemburgo e Olanda. Come si fa a “restituire” soldi che non si sono ricevuti? Ma forse è colpa della traduzione. In ogni caso saranno Lussemburgo e Olanda a incassare la differenza tra quanto le aziende hanno colà pagato e quanto avrebbero pagato a casa propria. Somme che, ovviamente, non sono un guadagno per quegli Stati: essi a loro volta dovranno girarli. A chi? Già questo, nel caso di aziende multinazionali con operazioni in giro per il mondo, non è ovvio.
La ragione per cui gli aiuti di Stato sono vietati è perché “falsano la concorrenza”. In ogni procedimento in materia di concorrenza si deve pregiudizialmente definire con precisione il mercato di riferimento. In quale mercato il Lussemburgo alterava la concorrenza? In che senso i vantaggi fiscali erano “selettivi”? Pare siano decine di migliaia le aziende che hanno definito tax ruling, il Lussemburgo lo offriva senza discriminazioni nazionali o merceologiche, non mancavano consulenti per renderlo noto, qualsiasi concorrente di Fiat avrebbe potuto fruirne.
Se per gli Stati la colpa sarebbe la “slealtà”, per l’impresa sarebbe l’”irresponsabilità”: “pagare la giusta quota di tasse – aveva detto la Vestager nei giorni precedenti – dovrebbe essere fermamente inscritta nella responsabilità sociale dell’impresa”. Siccome giudicare della lealtà e vigilare sulle responsabilità non sembrano rientrare tra i compiti del garante della Concorrenza, adesso precisa che la colpa delle imprese sarebbero le operazioni di bilancio che hanno consentito di incrementare i profitti della controllata residente in Lussemburgo diminuendo quella nel Paese d’origine, e quindi di pagare meno tasse, operazioni che “ non sembrano poggiare su motivazioni economiche valide”. Con il che, scampata la Scilli delle “responsabilità” si rischia la Cariddi delle intenzioni: proprio le tanto discusse fondamenta dell’abuso di diritto. Chiunque ha avuto a che fare con i costi standard sa che i criteri per spalmare i costi immateriali sulle varie attività sono in gran parte questione di business judgment già in un’impresa semplice. Figurarsi in imprese multinazionali con attività in tutto il mondo, ciascuna delle quali contribuisce all’utile della controllante.
All’interno dell’Unione la politica economica, dunque anche quella fiscale, è di competenza degli Stati membri. E la Vestager non lo mette in questione. Ma allora un’aliquota a suo giudizio troppo bassa è lecito proporla ma proibito accettarla? La realtà è che la concorrenza che ha in mente la Commissaria Vestager non è quella che il Lussemburgo avrebbe violato tra fabbricanti d’auto né l’Olanda tra chi arrostisce i chicchi di caffè. Quella a cui mira è la concorrenza fiscale tra Stati, e vuole eliminarla. Per riuscirci pensa di far sì che tutti i Paesi si scambino informazioni sui loro tax-ruling. Diceva Adam Smith che “quando si riuniscono persone dello stesso mestiere, anche per piacere o svago, la conversazione finisce in congiura contro il pubblico”. Margrethe Vestager evidentemente conta che succeda lo stesso a parti invertite.
Quando non ci fosse più concorrenza fiscale, che cosa impedirebbe agli Stati di aumentare tutti insieme le tasse un po’ per volta? Chi li indurrebbe a cercare piuttosto di ridurre i costi delle proprie amministrazioni? Si sono messi fuori legge i paradisi fiscali per evitare i riciclaggio di proventi di attività criminali: giustissimo, ma l’attività criminale è diminuita? Lo scambio automatico di informazioni consente di tracciare ogni movimento di danaro: grandioso, ma l’evasione fiscale è diminuita?
La Vestager conta su “rinnovamento radicale del contesto fiscale delle imprese che risulti più equo, più efficiente e più favorevole alla crescita”. Sull’equità e sull’efficienza non mi pronuncio. Ma la crescita, questo lo sappiamo, non c’è senza concorrenza. Non pensi di sfuggirci la Commissaria alla concorrenza: la regola vale anche per gli Stati.
Fonte: IL SOLE 24 ORE, 31 Ottobre 2015