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Le frange della sinistra e le sfide per l’Europa

Le frange della sinistra e le sfide per l’Europa

di Franco Debenedetti

Domenica in Grecia, in Ottobre in Portogallo, in Dicembre in Spagna: tre votazioni in Europa in poco più di tre mesi. Quattro, se contiamo le primarie nel Labour inglese. L’attenzione, oltre che ai risultati in sé, è alle nuove formazioni di sinistra estrema, e a come potranno influire sulla classica contrapposizione popolari-socialisti.

In Grecia, le tre ore in televisione tra Alexis Tsipras and Vangelos Meimarakis non hanno dato un chiaro vincitore. Che Tsipras arrivi primo o secondo, comunque il programma originario di Syriza è solo più l’ombra di Banco (Varoufakis lo considera ormai un “falso amico”); comunque sarà obbligato a una coalizione col centro destra; comunque governare equivarrà a eseguire i dettati della Troika, o come adesso si chiama. Se non risultasse primo, più che il fatto sarebbe rilevante la causa del fatto: la sinistra di Unità Popolare che, superando il 4%, entra in Parlamento, sottrae deputati a Syriza e rimette in gioco Nea Demokratia facendone il vero vincitore.
In Spagna, Pablo Iglesias leader di Podemos pensa solo a contare i voti che riesce a sottrarre ai socialisti di Pedro Sanchez, con cui peraltro si alleerebbe in caso di vittoria; dando così al popolare Mariano Rajoy buone chance di rimonta.
Anche il Portogallo ha i suoi Juntos Podemos. Negano di essere una “franchise” degli spagnoli, dicono di non appartenere né alla destra né alla sinistra e che il bipolarismo è finito; per ora non hanno però i requisiti per presentarsi alle elezioni. Il socialista Antonio Costa incolpa il socialdemocratico (in realtà liberale) Pedro Passos Coelho di avere superato in austerità perfino le richieste della Troika, e questi ribatte accusando l’avversario di promettere miracoli che non potrà mantenere.

Quello che batte tutti è lo strepitoso successo di Jeremy Corbyn. Mentre gli altri dovranno fare i conti con i vincoli dei bilanci e il giudizio dei mercati, il laburista ha conquistato la libertà di dire quello che vuole, uscire dalla Nato, smantellare la difesa, nazionalizzare (senza indennizzo, azzarda qualcuno dei suoi), riaprire le miniere di carbone. Ha vinto, ed è sicuro di non governare. Conquistata la maggioranza nei laburisti, si è assicurato di avere la minoranza nel Paese. Alla minoranza del nostro PD, Corbyn può regalare sogni, emozioni, a qualcuno perfino un’illusione.

Nulla a paragone dei brividi di piacere che suscitava nella sinistra dem Tsipras quando, insieme a Varoufakis, andava a Bruxelles a dare lezioni di economia a Schaeuble. Ma Tsipras è stato sconfitto alla prova di Governo, ed è Renzi che può portare a casa i margini di flessibilità. Quand’erano maggioranza hanno fatto da sponda al M5S, ora che sono minoranza forse ci pensano ancora (anche i grillini “una costola della sinistra”?): non capiscono che, più di Renzi, sono quelli i veri avversari).

Eppure tutte queste cose sembrano irreali di fronte all’emergenza immigrazione. Emergenza politica, senza di che non c’è speranza di dare risposta al problema umanitario. In pochi giorni Angela Merkel passa dagli applausi alle accuse di avere riportato le frontiere tra gli Stati d’Europa. Paga l’errore di aver confuso un integrale con una derivata, gli stock con i flussi, la differenza tra accogliere 300.000 siriani in un anno nel paese e vederne arrivare 10.000 in un giorno in una città. L’Europa, anzi dell’Occidente, sta pagando l’errore di concentrarsi a soccorrere le emergenze di quelli che arrivano, rifuggendo dall’affrontare i problemi prima che partano. Per farlo, bisognerebbe avere una strategia; non averla, questa è la vera emergenza.

C’era un’Europa del Sud, da anni si parla dei suoi problemi; ora ci si accorge che c’è un’Europa dell’Est, che ne ha di altro tipo. Al centro c’è l’Europa originaria, quella dei firmatari del Trattato di Roma, e mostra un’insospettata solidità. Noi ne siamo parte, ne siamo uno dei fondatori; restarci è la sfida da cui dipende il nostro destino. Per riuscirci dobbiamo solo (solo!) recuperare la produttività che abbiamo perso, la crescita che abbiamo abbandonato. Non basta privatizzare, rivedere la spesa, tagliare enti inutili. Quello che serve si chiama giustizia, scuola, amministrazione. Cose che non hanno nulla a che vedere con le identità, le radici, le ripicche; cose irreali quanto i propositi di Corbyn, senza averne la donchisciottesca grandezza.

Fonte: IL SOLE 24 ORE, 18 Settembre 2015

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