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Presidente Mattarella, sulla sovranità fiscale non si tratta

Presidente Mattarella, sulla sovranità fiscale non si tratta

di Paolo Savona

Caro Presidente Mattarella,
per il rispetto che porto all’istituzione che presiede e a Lei personalmente è con molta ansia che Le indirizzo questa lettera aperta riguardante una scelta che considero fondamentale per il futuro dell’Italia: la cessione della sovranità fiscale per far funzionare la sovranità monetaria europea, dato che questa è stata ceduta dagli Stati membri senza stabilire quando e come si dovesse pervenire all’indispensabile unione politica necessaria per rendere irreversibile l’euro, né attribuire alla Banca Centrale Europea il potere di svolgere la funzione di lender of last resort in caso di attacchi speculativi come quelli che abbiamo vissuto dopo la crisi finanziaria americana del 2008.
Invece di affrontare questi due problemi vitali per il futuro dell’Europa si chiede di sottoscrivere un accordo per cedere la sovranità fiscale residua, che per pudore viene chiamata «gestione in comune». Il presidente della Bundesbank ha riproposto e precisato i contenuti in un recente discorso.
Leggo sui giornali che Lei avrebbe concordato con il presidente della Bce e con il ministro dell’Economia italiano una strategia in attuazione del previsto accordo. Non credo di dover spiegare a Lei perché nomino istituzioni e non persone. Penso che queste notizie siano suggerimenti di persone scriteriate (l’aggettivo è di un Suo illustre predecessore, Luigi Einaudi) che, non fidandosi più del Paese, ammesso che mai se ne siano fidate, lo vogliono colonizzare; una sorta di fastidio per i disturbi che provengono per i loro interessi. Spero che la notizia sia infondata, perché, se non lo fosse, sarebbe Suo dovere smentirla, secondo un insegnamento che mi ha dato Ugo La Malfa: se un notizia è falsa, non si smentisce, se è vera, si deve farlo; e aggiungeva che, se i contenuti della notizia erano particolarmente importanti – come sarebbe la cessione della sovranità fiscale che marcherebbe la fine della democrazia italiana senza che ne nasca un’altra – non si doveva solo smentire, ma farlo in modo energico.
A ogni buon conto, se una tale scelta maturasse, Lei non potrebbe ratificarla, perché l’articolo 11 della Costituzione dice chiaramente che l’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Naturalmente diranno che la decisione risponde a queste condizioni (pace, giustizia e parità con altri Stati) ma, sulla base dell’esperienza fatta con la cessione all’Unione Europea della sovranità di regolare i mercati e di battere moneta, queste sono pure ipotesi, una vera truffa per taluni e un’ingenuità per altri, che né la scienza economica (mi passi il termine) né la politica, che pretese di scienza non ha mai avuto, possono asseverare. I trattati internazionali sono contratti giuridici tra nazioni e l’oggetto del Patto stipulato a Maastricht in attuazione dell’Atto unico e ribadito a Lisbona nel 2000 parla chiaro: all’articolo 2, punto 3, afferma che L’Unione si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico. L’Unione combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore. Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale e la solidarietà tra gli Stati membri.
Le chiedo, caro Presidente, se Lei ritiene che questo impegno sia stato adempiuto e quali siano, anche dopo l’esperienza della crisi greca, le probabilità che lo possa essere, anche ipotizzando di cedere la parte residua della sovranità nazionale in cambio (il termine è già un eufemismo) di un’assistenza finanziaria accompagnata da vincoli che violano il dettato della nostra Costituzione che Lei è deputato da tutelare. Invece di uscire dal paradosso di un non-Stato europeo formato da non-Stati nazionali, si intende approfondire questa strana configurazione istituzionale perché appare vantaggiosa a pochi Paesi capeggiati dalla Germania.
Poiché la tesi del vantaggio che potremmo ricavarne è priva di fondamento, da tempo si insiste nello spargere terrore su quello che avverrebbe se l’euro crollasse, trascinando il mercato unico, aggiungendo la ciliegina della speranza che in futuro le cose andranno meglio e che si va facendo di tutto affinché ciò avvenga. Vivere nel terrore del dopo e nella speranza che le cose cambino, senza attivare gli strumenti adatti affinché ciò avvenga, non è posizione politica dignitosa. L’Italia non si è tirata indietro quando le è stato chiesto di pagare un costo elevato in termini di vite umane per giungere all’unità e per uscire dalla dittatura nazifascista, perché sapeva valutare il costo di rimanere nelle condizioni in cui si trovava; spero che la nuova classe dirigente non si tiri indietro e sappia chiedere e far accettare un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni. Per l’Italia non esiste alternativa al chiedere il rispetto congiunto del dettato costituzionale e dell’oggetto del Trattato europeo vigente e Lei ne è garante. (riproduzione riservata)

Fonte: MILANO FINANZA 22 AGOSTO 2015

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