Come sopravvivere alla Grande Crisi
Un’impressionante convergenza di sintomi e di diagnosi porta a dire che la tempesta si sta avvicinando. Gli scienziati lanciano l’allarme: il capo dei consulenti scientifici del governo inglese John Beddington ha parlato per primo di perfect storm nel 2009 con un documento diffuso poi in migliaia di copie dal Population Institute di Washington e riportato integralmente in italiano nel libro. Non sono meno preoccupati i premi Nobel firmatari del Memorandum di Stoccolma del maggio 2011, mentre gli economisti avvertono che non esiste un modello di previsione che ci dica come la Terra nel 2030 potrà sostenere una umanità di otto miliardi di persone, di cui almeno tre o quattro con consumi paragonabili a quelli degli attuali Paesi industrializzati (circa un miliardo di abitanti) senza conflitti sanguinosi per le risorse naturali, carestie, migrazioni di massa.
Le previsioni sulla crisi globale non provengono più soltanto da ecologisti arrabbiati o da scienziati pensosi sul futuro dell’umanità. Le risorse naturali scarseggiano. Jeremy Grantham, autore di una newsletter molto seguita sulle prospettive dei mercati finanziari, ha scritto sulla rivista “Time”: “Quello che ci preoccupa veramente non è il picco del petrolio, ma il picco di tutto il resto”.
Comin e Speroni sulla base di un lavoro molto documentato lanciano l’allarme e avvertono che la tecnologia non basterà a salvarci, ma il loro non è un libro pessimista, perché registra anche i cambiamenti positivi che già stanno avvenendo nel mondo. Centinaia di migliaia di associazioni affrontano i temi dell’ ethical living e dei consumi sostenibili. Anche in mancanza di un accordo internazionale che sostituisca il Protocollo di Kyoto, molte nazioni, (dall’Olanda alla Cina, ma non l’Italia) compiono importanti sforzi di adaptation agli ormai inevitabili cambiamenti climatici. Centinaia di città, dalle smart cities alle transition towns, si mettono in rete per scambiarsi esperienze e tecnologie. Le imprese danno nuova sostanza alla “responsabilità sociale” anche attraverso accordi delle multinazionali con i loro storici nemici ambientalisti. E la governance mondiale, pur attraverso i faticosi meccanismi del G20 e dei grandi congressi internazionali, compie qualche significativo passo avanti.
Basterà tutto questo? Certamente no, bisogna accelerare il passo. Ma è possibile che la collaborazione tra organizzazioni internazionali, autorità politiche a tutti i livelli, cittadini, associazioni non profit e imprese consenta di affrontare il futuro. Non è certo un invito a volersi bene a tutti i costi. “I meccanismi del mercato, così come quelli della competizione politica, non possono essere soffocati da un finto unanimismo”, scrivono gli autori. “Ma è possibile darsi regole comuni di comportamento, meccanismi di trasparenza delle decisioni, sistemi di coinvolgimento dei cittadini, impensabili senza i mezzi tecnologici di oggi”. Le reti, la comunicazione diffusa, la possibilità di coinvolgere milioni di persone nelle decisioni sono uno strumento formidabile per affrontare il futuro.
Questo insieme di politiche top down e di comportamenti bottom up è il nocciolo di quello che Comin e Speroni chiamano “la filosofia new global”, una linea di comportamento che ha bisogno di tutti i protagonisti e ne valorizza l’apporto. “É essenziale, perché questa filosofia funzioni, che il mondo si liberi dalla paura e dalla diffidenza. Non si può affrontare il futuro pensando solo al peggio. Non si può diffidare sempre e comunque degli altri. In questa partita globale siamo tutti, ciascuno con i propri ruoli, sulla stessa barca. Cercare di spingere gli altri fuori bordo servirebbe solo a farla rovesciare”.