di Leonardo Becchetti
L’intervento del governo a favore di famiglie e imprese è fondamentale per fare da ponte in questo momento drammatico e si scarica su un aumento di deficit su cui nessuno ha da ridire. La flessibilità delle politiche bilancio, lo sforamento del deficit e la sospensione del Patto di Stabilità c’è ma non basta per affrontare l’emergenza coronavirus. È fondamentale un salto di qualità con l’adozione di politiche monetarie non convenzionali. È quello che la Lagarde non è riuscita a fare l’altro ieri incappando anche in un grave errore di comunicazione che va oltre l’impegno importante della Bce soprattutto in termini di strumenti di sostegno alle banche. Dal « Whatever it takes » (faremo qualunque cosa necessaria per salvare l’euro) al «non tocca a noi chiudere gli spread» il passo è lungo e la delusione è stata profonda.
La consapevolezza dell’errore è stata immediata tanto che ieri la Bce si è affannata con comunicati successivi a cambiare registro e a tornare al modello Draghi. La Borsa italiana ha reagito alla gaffe della Lagarde facendo segnare la peggiore perdita della storia (quasi il 17% solo parzialmente recuperato col rimbalzo di ieri). Sui mercati finanziari assistiamo in questi giorni al tipico eccesso di volatilità che è in gran parte il risultato della liquidazione di posizioni su derivati di vario tipo. E lo choc coronavirus ha colto i mercati in un momento di fiducia e ottimismo (i premi di rischio erano ai minimi molto sotto i loro livelli medi) trovando quindi terreno fertile per un crollo. In un momento come questo ci vuole sangue freddo perché è del tutto evidente che siamo di fronte ad un’emergenza, una tragedia che ha tutte le caratteristiche di uno choc temporaneo e non permanente. Il virus sarà sconfitto (la battaglia non sarà facile né brevissima, ma alla fine vincente) e torneremo alla normalità.
Fondamentale però è la tempestività e la radicalità delle misure da prendere e la capacità di evitare il più possibile scorie di medio periodo. Il governo (questa volta con un bel « whatever it takes » sociale) ha detto che nessuno deve perdere il lavoro per il coronavirus. E ha messo in atto una serie di misure per aiutare famiglie e imprese. Sospensione selettiva del pagamento delle tasse, cassa integrazione in deroga anche per le piccole imprese, bonus per la perdita di fatturato dovuta all’emergenza, rafforzamento del fondo di garanzia per prestiti alle piccole e medie imprese, sospensione del pagamento di interessi su mutui e prestiti alle imprese tra le misure in cantiere e varate. Il conto di queste misure finisce nello sforamento del bilancio (adesso al 3,3%, ma in aumento se, come probabile, l’azione dovrà diventare ancora più energica e decisa) e dunque in una politica fiscale espansiva di emergenza.
Alla fine, come sempre, chi può e deve salvare la baracca in tempi di crisi è la Banca centrale, il prestatore di ultima istanza che può creare denaro dal nulla. Aumentare il Quantitative Easing (l’acquisto di titoli pubblici dei Paesi membri), concedere linee di credito speciali alle banche e allentare la severità delle regole di accantonamento sui prestiti non recuperabili non basta. La flessibilità di bilancio infatti vuol dire aumento del rapporto debito/Pil che si paga anche dopo la crisi con un fardello più pesante di interessi sul debito che riducono le possibilità di spesa pubblica post-crisi. Per questo c’è bisogno di misure che evitino danni futuri. Due le vie possibili o, se si vuole, le gambe della rincorsa.
La prima, più radicale, è l’Helicopter Drop of Money, ovvero la concessione da parte della Bce di un assegno diretto ai cittadini delle aree colpite. In questo modo i vari bonus non finiscono sul conto degli Stati nazionali e non creano debito (la Banca centrale di Hong Kong ha versato a ciascun cittadino 1.300 dollari per affrontare l’emergenza). Si tratta di una misura temporanea e d’emergenza con la quale la Bce si sostituirebbe allo Stato nazionale almeno in parte nell’erogazione di interventi ponte e bonus e che non si può temere crei inflazione. Nonostante i danni alla catena produttiva lo choc resta soprattutto uno choc di domanda. Con gran parte dei negozi chiusi e file per comprare nei supermercati non si può pensare che l’iniezione di liquidità crei una pressione di domanda in grado di aumentare i prezzi mentre potrebbe frenare invece rischi deflazionistici. L’altra ipotesi è il varo di un Piano Wyplosz di emergenza.
Ne parlammo in un altro momento molto difficile, quello dell’appello dei 360 economisti su ‘Avvenire’ nell’ottobre del 2014 prima dell’intervento decisivo di Draghi e dell’avvio del Quantitative Easing. L’ipotesi allora era quella del riacquisto del debito eccedente il 60% del Pil dei Paesi membri da parte della Bce e la sua trasformazione in titoli perpetui a tasso zero. La proposta di oggi è di realizzare l’operazione per l’aumento di debito attribuibile all’emergenza coronavirus. In questo modo l’effetto futuro di aumento di spesa d’interesse sarebbe sterilizzato. L’ipotesi di bond di salute pubblica con esenzioni fiscali e a tasso molto basso per finanziare un investimento futuro nel sistema sanitario proposta da Mario Monti potrebbe essere un buon corollario.
La via maestra per un intervento chirurgico ottimale capace di evitare che la risposta allo choc abbia effetti di medio termine consiste nell’isolare l’extra debito creato eliminando il fardello d’interessi futuro che esso inevitabilmente creerebbe. Viviamo tempi straordinari che richiedono interventi straordinari. Il governo italiano, di concerto con l’opposizione, sta facendo il possibile. La Commissione Ue non ha avuto nulla da obiettare sulla flessibilità fiscale. Ma il protagonista chiave in momenti di grave crisi, la Banca centrale, con il suo primo intervento ha steccato. Fondamentale che parta dalla società civile e dalle forze politiche italiane un appello alle misure straordinarie qui indicate o ad interventi con effetti simili.
(La Repubblica.it del 14/3/2020)
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